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Nei giorni seguiti all’alluvione in Emilia-Romagna, le riprese televisive di quei luoghi disastrati ci hanno parlato anche dei numerosi giovani volontari, arrivati da ogni parte d’Italia, che hanno affiancato gli abitanti delle zone colpite nel liberare dall’acqua e dal fango interi quartieri. E’ stato emozionante vedere giovani donne e uomini, sporchi di fango, che con impegno e tenacia, conditi a volte da un pizzico di buonumore, cercavano di alleviare il peso di una tragedia collettiva che ha lasciato un segno indelebile in tante famiglie, aziende ed imprese, che hanno perso in pochi giorni il frutto del lavoro e dei sacrifici di una vita. Viva i giovani, dunque, e un grazie per la sensibilità e il senso di responsabilità che hanno rivelato in questa, come in altre difficili situazioni. Il loro comportamento ha dimostrato che essi non sono tutti bambinoni viziati, o soffocati da futili ed egoistici interessi che li rendono insensibili alle dolorose vicende degli altri, come spesso noi adulti pensiamo. Di contro, non possiamo neanche chiudere gli occhi su episodi dolorosi che si sono ultimamente verificati e che hanno visto farla da protagonisti, purtroppo, singoli o gruppi di giovani, definiti sbrigativamente e spregiativamente “branco”.

La logica del branco obbedisce ad un principio apparentemente complesso, che si esaurisce in una scelta: o con noi o contro di noi! Se sei con noi, devi dimostrare che non hai inibizioni, limiti o sensi di colpa; se non sei dalla nostra parte, come noi, tutto è permesso per colpirti e umiliarti! Dolorosissimo l’episodio del gruppo social borderline, gli youtubers delle sfide, che ha investito, uccidendolo, un bambino di 5 anni, ferendo gravemente anche la sorellina e la madre. La motivazione principale di quel gruppo di giovani, che è stata la causa di questa tragedia era raggiungere il maggior numero di followers, progettando e realizzando azioni assurde e trasgressive, per poi documentarle e postarle sui social.

Le dichiarazioni esaltate, che essi stessi registravano sugli smartphone, sottolineavano la loro volontà ad esagerare, trasgredire, imporsi prepotentemente anche usando la violenza, al solo fine di ottenere il consenso dei coetanei, uscendo dall’anonimato della normalità e facendo della stravaganza l’esaltante obiettivo da raggiungere. Se provassimo a chiedere ad una certa fascia di giovani, senza naturalmente generalizzare, cosa è oggi più importante, per ognuno di loro, nella propria vita, a cosa aspira, cosa vorrebbe realizzare per il futuro, potremmo rimanere sconcertati davanti ad alcune risposte che già vengono date senza il minimo dubbio: vorrei fare l’influencer, o guadagnare il più possibile! Ho provato anche a chiedere, davanti alla stravaganza di certi abbigliamenti, o vedendo l’enorme quantità di tatuaggi “scolpiti” su tutto il corpo, la fantasiosa scelta di piercing collocati nelle parti più impensabili, l’estrosità di certe “pettinature” e la loro colorazione, i tagli delle sopracciglia, se si vede bello così, se si piace e pensa di piacere anche agli altri. Io credo che una persona cerchi di offrire agli altri l’immagine più bella di sè.

Le risposte sono sconcertanti perché i canoni della bellezza sembrano secondari rispetto all’imperativo categorico che spinge i giovani, oggi, a voler essere riconosciuti, uscendo comunque dall’anonimato, a colpi di esagerazioni, osando, infrangendo le regole: si pensi al fenomeno della “cicatrice francese”! Non è la bellezza che li muove nelle scelte, ma l’approvazione o il riconoscimento dell’essere trasgressivi, il desiderio di sbalordire attraverso le stravaganze, con l’audacia nell’osare! Non sarebbe giusto generalizzare, ma stupisce anche la fragilità psicologica e la “leggerezza” di questi ragazzi, che davanti alle difficoltà vanno spesso in crisi, immersi totalmente nel “qui e ora”, “tutto e subito”.

E’ apparsa interessante la traccia di attualità proposta negli esami di maturità di quest’anno, con il suo “Elogio dell’attesa nell’era di whatsapp”, scelta dal 43% dei maturandi. Essa metteva in evidenza l’importanza che ha l’”attesa” nella percezione del tempo che fluisce; la stretta correlazione con la “volontà” nell’accettare e combattere le sconfitte e gli insuccessi; la misura ed il perenne bisogno di “speranza”, che ci apre ad una concezione della vita, che va oltre il presente e l’immediato.

E’ la volontà che rende possibile l’attesa, la decisione cioè di aspettare, di riflettere sul senso e le conseguenze delle nostre scelte, affinche’ contribuiscano alla realizzazione del nostro bene e di quello comune. La volontà si rafforza con l’osservanza delle regole, con le rinunce; matura con la consapevolezza che non ci sono solo diritti nella vita, ma anche doveri e che non tutto ciò che si desidera è sempre possibile, ma a volte bisogna attendere perché quel tutto si realizzi, o che si sia capaci di rinunciare. E’ necessario formare i ragazzi a decentrarsi, cioè a maturare la consapevolezza che la vita non può avere senso se è raggomitolata esclusivamente attorno al proprio “io”, ma che la maturità e la felicità si raggiungono nell’aprirsi agli altri, condividendo gioie, problematiche, sofferenze, proprio come ci hanno insegnato i giovani volontari confluiti in Emilia-Romagna.