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Un interessante articolo di Padre Bartolomeo Sorge, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Civiltà Cattolica, sulle sfide culturali che generarono il Concilio Vaticano II e i continui riferimenti di Papa Francesco a questo straordinario evento che ha segnato la vita della Chiesa, hanno maturato in chi scrive la decisione di tornare su questo argomento per approfondirne alcuni aspetti. L’articolo del compianto Padre Sorge, in realtà, non è altro che la sua relazione introduttiva al Convegno di Firenze del 2012 a cinquant’anni dal Concilio; il testo, tra l’altro, mette in evidenza le ragioni che avevano determinato in Papa Giovanni XXIII prima, e in Papa Paolo VI successivamente, la necessità di affrontare il problema del rapporto tra il Vangelo e la cultura moderna, che si evidenziava come espressione di una frattura profonda, ormai consolidata nel tempo, tra fede e ragione.

Erano dunque la reciproca incomunicabilità in atto tra la Chiesa e il mondo e la necessità di superarla, i motivi principali che favorirono la scelta di proporre nella Chiesa, coinvolgendo nella riflessione anche tutti gli uomini di “buona volontà”, questa riflessione collegiale. Il tentativo di riconciliare la vita cristiana con la modernità traspare in tutti i Documenti conciliari, ma in modo particolare nella Gaudium et Spes, la Costituzione più discussa e dibattuta. Sicuramente non tutti nella comunità cristiana e tra i Padri conciliari erano pronti e disponibili ad accettare la sfida di una Chiesa che, rompendo il suo isolamento dottrinale e culturale, si apriva al dialogo, mettendo in discussione consuetudini e tradizioni ereditate dal passato. Agli occhi di molti la frattura tra la Chiesa e il mondo, tra modernità e tradizione, vita cristiana e cultura, appariva insanabile. Non era facile riconoscere che una certa concezione della Chiesa e una prassi consolidata, il “si è fatto sempre così” direbbe Papa Francesco, potessero essere vagliate e interpretate sotto una nuova luce, senza tradire gli insegnamenti della Parola di Dio e della Tradizione autentica della Chiesa. Il Concilio è stato veramente un evento di grazia ed ha significato realmente una nuova primavera per la Chiesa. Nell’aula conciliare si confrontarono, alcune volte si scontrarono, le due possibili prospettive: trincerarsi dietro le certezze del passato rifiutando ogni possibile prospettiva di cambiamento, o aprirsi coraggiosamente al rinnovamento. Possiamo dire che le due prospettive emergono chiaramente nei testi e alcune volte le aperture appaiono in qualche modo frenate da espressioni che ne limitano la portata. Probabilmente i tempi non erano ancora maturi, e non potevano evidentemente esserlo: nella Chiesa, che non è una realtà monolitica, al cui interno convivono diverse anime, non era facile trovare sulle molteplici questioni affrontate, soprattutto su quelle di cui si occupa la Gaudium et Spes, una visione concorde. Per tale motivo, il dibattito e la ricerca di una linea in cui potessero confluire in quel momento le diverse posizioni, oggi sono intesi come una potente espressione di vitalità: l’azione dello Spirito nel guidare la Chiesa si rende viva attraverso il reciproco ascolto e il discernimento. Le aperture hanno avviato processi ancora in atto che, nel corso degli anni, hanno raccolto ulteriore consenso e consapevolezza.

Alcune scelte di fondo operate dal Concilio, ci consentono di comprendere le rilevanti novità entro le quali vanno inseriti i testi e le affermazioni della Gaudium et Spes. Innanzitutto la visione di una Chiesa come comunione, popolo di Dio animato dallo Spirito, e come sacramento, non più apoditticamente “società perfetta” o “istituzione divina”, come era stata definita nel passato. La visione della storia come “storia della salvezza”, si identifica come centralità della salvezza donataci da Gesù Cristo; ne scaturisce l’affermazione della dignità dell’uomo e della persona umana, di ogni persona umana. Diventa prioritaria la volontà della Chiesa di intraprendere un dialogo con il mondo incentrandolo sulla Parola di Dio. Viene sottolineata l’indole pastorale del Concilio, che per la prima volta non è indetto per condannare eresie o definire verità, ma per favorire la crescita di tutto il popolo dei credenti e della comunità umana. Nella Gaudium et Spes la Chiesa annuncia già nel proemio questa volontà di entrare in dialogo con il mondo, spinta soprattutto dalla preoccupazione di difendere la dignità dell’uomo e i valori di cui è portatore: “Nessuna ambizione terrena spinge la Chiesa; essa mira a questo solo: continuare, sotto la guida dello Spirito consolatore, l’opera stessa di Cristo, il quale è venuto a rendere testimonianza alla verità, a salvare e non a condannare, a servire e non ad essere servito” (G.S. n.3). Punto di partenza, allora, è l’uomo nella sua realtà, nelle sue aspirazioni e difficoltà, nella sua grandezza, ma anche nelle evidenti contraddizioni che caratterizzano la sua vita: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (G.S. n.1). Come non leggere in queste parole il pensiero di Papa Francesco, testimone umile e autorevole di una Chiesa che si mette accanto ad ogni essere umano, ad ogni persona, soprattutto le più povere e indifese, per servire?! Egli continua ad essere testimone credibile del Concilio, con il suo magistero e l’efficacia dei segni che l’accompagnano. Ultimo cronologicamente è il viaggio appena conclusosi in Iraq, la terra di Abramo, dove il Papa non si è risparmiato anche fisicamente, per esprimere tutta la solidarietà e condivisione della Chiesa nei confronti di gente estremamente povera e alle prese con una guerra fratricida per pretestuosi motivi religiosi, sotto gli occhi indifferenti di quanti hanno cinicamente e per interesse armato le loro mani. Papa Francesco ha esortato la comunità cristiana, tutti i credenti di ogni religione, il mondo intero, a perseguire la fratellanza universale, partendo dai poveri, dagli esclusi, dagli emarginati e imparando dagli umili. Lo ha fatto anche questa volta, nell’incontro con l’Ayatollah Al-Sistani, per l’affermazione di una “storia di salvezza” per tutta l’umanità nel nome del “Dio della pace”.